Essere una teenager negli anni ’70 , per me principalmente ha significato tre cose:
- Non avere un soldo in tasca
- Fare cose di nascosto ai genitori
- Ascoltare musica, tanta musica
Posso senz’altro affermare con certezza e tranquillità, che la terza, compensava ampiamente le prime due.
Sono stati anni strani, musicalmente parlando, almeno per me. Ascoltavo praticamente tutto tranne il melodico italiano tradizionale, che ancora imperversava in Tv o radio.
Si erano appena sciolti i Beatles e consumavo i solchi di Abbey Road; la speranza di una loro riunificazione è rimasta accesa fino a quello sparo del 8 dicembre di 10 anni dopo.
Colonne sonore di film intramontabili accendevano le sinapsi di noi ragazzette della Dino Compagni. Con una mia compagna di classe andammo a vedere Jesus Christ Superstar in tutte le terze e quarte visioni di Firenze, per ben 11 volte. Quando adesso riascolto il doppio vinile della sound track o rivedo il film, lo ricanto dall’inizio alla fine con la pronuncia un po’ maccheronica della dodicenne che lo imparò.
Iniziava a diffondersi la Disco Music con quei meravigliosi ritmi incalzanti e ripetitivi che ci facevano ballare e stare insieme nelle “cantine buie dove respiravamo piano” con il rigo azzurro su gli occhi e i lucida labbra appiccicosi. Copertine con donne afroamericane bellissime e dalla voce potentemente sexy: Donna Summer inarrivabile.
Poi c’era il lato più intellettuale, che doveva comunque essere presente (altrimenti non ti filava nessuno), quindi ascoltavo il Prog Rock, con quelle orchestrazioni che rasentavano il sinfonico, Hammond a profusione, ma anche violini e flauti traversi. Ambientazioni fantasy-oniriche dei testi e copertine create da vapori lisergici. Uno su tutti, che ancora ascolto se voglio estraniarmi, In The Court Of Crimson King del 1969.
Ma il Rock ha regalato agli adolescenti di quegl’anni “pietre” indimenticate.
Il prisma illuminato dal fascio di luce di Dark Side Of the Moon, lo stemma araldico in campo bianco di A Night at The Opera, ancora adesso fanno parte delle mie Playlist. In genere ascoltavamo tutta la musica che proveniva oltremanica. La fucina della swinging London continuava a creare artisti che resteranno immortali. E il Rock si alimentava di mille affluenti con i nomi più disparati.
Glam, Folk, Soft, Synth, Punk, Heavy, Alternative, Gothic, Hard: la British Invasion non accennava a fermarsi.
Nel mio stereo Lesaphon verticale a valvole, dalle due del pomeriggio fino all’ora di cena, giravano 33 o 45 volte al minuto Tea forma Tillerman di Cat Stevens o Starman di Bowie.
Amatissime le compilation registrate alla radio. Le prime Radio Libere su modulazione di frequenza, con i D.J. che (bontà loro!) annunciavano i pezzi prima di mandarli in onda, permettendomi in quella frazione di secondo che seguiva, di premere il tasto rosso Rec del mangianastri con microfono incorporato. In quelle Basf 90 convivevano i Black Sabbath e gli Abba, Battisti e Ian Anderson, McCartney e Bennato. E le canzoni non potevi skipparle con un tasto: dovevi memorizzare “a vista” lo spessore del nastro che riavvolgevi principalmente con una Bic, per non consumare le pile!
La politica e la presa di coscienza sociale hanno fatto parte della formazione personale di ogni ragazzo/a in quegli anni, era impossibile non impegnarsi. Qualsiasi fronte si scegliesse. Per me che frequentavo un istituto tecnico dove le sezioni arrivavano fino alla lettera Z, lo scambio di idee e opinioni non sempre è stato semplice.
I collettivi, le assemblee, i cineforum, riportano subito alla memoria parole e musica dei cantautori italiani. Veri compagni di viaggio nei turbolenti anni delle manifestazioni studentesche e degli amori non corrisposti. I vinili che giravo più frequentemente : Rimmel e Concerto per Margherita.
Poi il decennio è finito, così come la scuola e l’adolescenza, ma basta un riff di chitarra per farmi riassaporare il gusto di albicocca del mio lucida labbra.
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